“Il viaggio di Capitan Fracassa”

In un imprecisato Seicento, una sgangherata compagnia di guitti di strada viaggia dalla Spagna alla Francia, dove spera di potersi esibire alla corte di Re Luigi XIII. Durante una tempesta, la carovana trova rifugio nel castello del Barone di Sigognac, in rovina e abitato soltanto dall’ultimo erede della dinastia (Vincent Perez) e dal suo umile e anziano servo (il grande Ciccio Ingrassia in una delle sue ultime apparizioni). Il servo amorevole affida il giovane alla compagnia di attori, con la speranza di farlo maturare e di regalargli un’esistenza meno grama di quella che aveva vissuto fino ad allora. L’attore Pulcinella (Massimo Troisi), con una lauta ricompensa, viene allora incaricato dal servo di vegliare sul ragazzo e di fargli da guida lungo il cammino. Dopo una serie di traversie, e scampato anche ad una morte certa, il giovane Sigognac, ormai vestiti anch’esso i panni di teatrante con la maschera buffa del "Capitan Fracassa", incontrerà l’amore per una donna e si consacrerà definitivamente all’arte del palcoscenico.

E’ il terzo (e ultimo in ordine cronologico) film frutto della collaborazione (???) tra Massimo Troisi ed Ettore Scola. Dopo "Splendor" e "Che ora è", con questo film forse si raggiunge l’apice della incompatibilità tra una regia (e una sceneggiatura) scolastica e rigida da un lato e la vena comica di Troisi dall’altro, per nulla valorizzata e sfruttata. Amaro dirlo, ma quello che tristemente viene sfruttato è soltanto il nome di Troisi: il film viene fin dalla locandina contrabbandato come un film “di” Troisi, quando invece si tratta di un film “con” Troisi , dove il grande attore napoletano occupa peraltro un ruolo abbastanza marginale e per nulla nelle sue corde. Nel resto del cast si trova poi un po’ di tutto: da Ornella Muti (in più di una scena soavemente quanto inutilmente discinta) a Claudio Amendola, da Massimo Wertumuller a Remo Girone. Per una volta mi trovo a concordare in pieno con le parole espresse da entrambi i nostri amati/odiati Castore e Polluce della critica cinematografica di casa nostra. Marco Morandini coglie nel segno e lo definisce "Bello ma senza cuore. Elegante ma senza energia e, in fondo senza una vera ragion d’essere". Paolo Mereghetti invece usa i termini “elaborata metafora spettacolare pesante e che va per le lughe”, “banale” e “decorativo” nell’uso delle presenze femminili. Concordo. In più aggiungo che il film ha una costruzione narrativa che fa acqua da tutte le parti: frammentaria, prolissa dove si imponevano tagli netti e vigorosi (per esempio in certi insopportabili dialoghi amoreggianti, letterari e ridicoli, degni della più bolsa fiction televisiva), troppo accelerata e approssimativa nel tratteggiare i personaggi (ridotti a tristi macchiette senz’anima). Il risultato è un film che, al pari dei suoi protagonisti, vaga senza una meta non definita, perdendosi per strada tra personaggi abbozzati ed inutile trame secondarie. Peccato, visto che la sceneggiatura (tratta dal “Capitan Fracassa” di Théophile Gautier) è firmata da nomi illustri come Vincenzo Cerami e Furio Scarpelli, nomi che sicuramente potevano fare di meglio. Tecnicamente ben costruito: girato interamente in studio, Scola usa con criterio le belle scenografie e l’ottima fotografia (di Luciano Tovoli) per costruire un’atmosfera ovattata e sospesa, nella quale calare i personaggi di questa sorta di road-movie in costume. Purtroppo non basta fermarsi all’involucro per ottenere un buon risultato…

In definitiva, quello che lascia in bocca questo film dopo la visione è un senso di profonda amarezza e delusione. Amarezza e delusione che nascono dal vedere ancora una volta un grandissimo protagonista del cinema Italiano come Massimo  Troisi (amatissimo da chi scrive) ridotto a lavorare in film per nulla adatti alla sua personalità e al suo modo di recitare. Amarezza che si accentua se pensiamo a quanto sia terminata precocemente la carriera del grande Massimo…

Voto personale: 5

PICCOLA NOTA DI DEMERITO PER OKRAM che ha proposto la visione di codesto film… come benevola "punizione" il buon Okram ora dovrà comunicare alla blog-sfera tutta il nome per esteso (possibilmente in arabo, scrivendolo con caratteri arabi quindi da destra verso sinistra) della singolare pietanza (comunque assai gustosa) somministrata all’ignaro Pickpocket durante la visione del film…

“Che ora è”

Che ora èTorno al cinema di casa nostra. Vituperato, attaccato, deriso, svilito, ma capace di regalare delle belle emozioni. Ovviamente se tutti gli ingredienti sono al posto giusto: prima di tutto gli attori, poi la sceneggiatura e la regia. A seguire tutto il resto. Cose, se messe tutte insieme, che non si verificano poi così spesso. Gli attori protagonisti del film a cui dedico il post di oggi sono due dei più grandi del firmamento cinematografico italiano: Marcello Mastroianni e Massimo Troisi. Diversissimi, lontanissimi per certi aspetti. Mastroianni è stato a detta di molti il più grande di tutti e incarna alla perfezione il mito del grande cinema italiano nella sua epoca d’oro. Massimo Troisi è stato, pur nella brevità di una carriera comunque fulminante, forse il più valido autore della generazione dei cosiddetti "nuovi comici" (la generazione dei vari Benigni, Verdone, Nuti). Insomma lontanissimi, eppure vicinissimi in questo film del 1989 diretto da un Ettore Scola in vena: addirittura padre e figlio. Una precisazione è d’obbligo: Scola nello stesso anno 1989 aveva già diretto Mastroianni e Troisi in "Splendor", con esiti decisamente poco felici. Fu forse per rimediare all’errore e per sfruttare meglio il potenziale artistico della coppia rimasto inespresso che decise di mettere mano a "Che ora è". "Che ora è" è un film anomalo sotto molti aspetti. Innanzitutto ha praticamente come unici due attori Mastroianni e Troisi appunto (se si esclude una parentesi abbastanza insignificante dedicata alla fidanzata del giovane Michelino e qualche altro personaggio di contorno). Poi, il film si costruisce esclusivamente nell’arco di 24 ore ed unicamente nella città, grigia e fumosa, di Civitavecchia (unità di tempo e unità di luogo, quindi, pienamente e sorprendentemente rispettate). Inoltre il tono generale del film è assolutamete ambiguo: ondeggia tra la commedia e il dramma, muovendosi su una linea di confine esilissima e facilmente valicabile. Venendo alla trama (se trama si vuole definire la costruzione di un film così particolare): un padre (avvocato romano rampante e vitale) e un figlio (giovane in servizio militare di stanza a Civitavecchia, timido e introverso), sempre rimasti lontani e sempre troppo distanti per conoscersi davvero, trascorrono una intera giornata fianco a fianco. Cercheranno di recuperare il tempo perduto, tra promesse, progetti e desideri mai confessati. Affronteranno nodi della loro relazione a lungo rimasti irrisolti. Insomma si conosceranno. "Piacere. Scusi, mi sa dire che ora è?".

Voto personale: 7+