“Bufalo Bill e gli Indiani”

Life and times of William F. Cody, in arte Bufalo Bill, secondo Robert Altman. Lezione di storia e lezione di cinema, vergata con mano felicissima da uno dei più efferati de-costruttori di miti del Grande Paese. La storia del selvaggio west è un circo rutilante, una mediocre rappresentazione grondante retorica patriottica, razzismo e deja-vu. Cowboys e visi pallidi una sgangherata armata brancaleone di guitti da quattro soldi. Gli indiani invece sono quelli veri, quei (pochi) scampati al genocidio. Ridotti in catene e e privati della loro dignità di uomini. A cominciare dal leggendario Toro Seduto, autore dell’assassinio del generale Custer e "visione" sfuggente con cui bisogna, necessariamente, fare i conti. Un meraviglioso Paul Newman è il Bufalo Bill che non si era mai visto prima. Burt Lancaster, nell’ombra, è l’uomo che ne ha costruito, quasi per caso, fortuna e mitologia. «Un mito manipolato. Come tutti i miti della storia in ogni epoca e in ogni sistema. I miti a cosa servono? A coprire, a giustificare, a dare verità "ufficiali"… E’ semplice. Muovendosi verso l’Ovest, cavalcando verso i propri interessi, i pionieri non avevano che un’arma: far fuori i tenutari di quelle terre. Però a chi era rimasto a casa che raccontavano? Raccontavano di assalti, di massacri, di tradimenti? No, l’onore andava salvaguardato. Gli assalti, i massacri e i tradimenti andavano subiti, non compiuti… In altre parole, Bufalo Bill è uno che sa sparare e stare in sella come tutti, dati i tempi. E quando lo scritturano in un circo e diventa attore… Eh, bè, è così bello, così biondo, così "americano" che costruirgli addosso il mito diventa facile. Bufalo Bill è la prima star del sistema: da una parte la sua perfezione, dall’altra la rappresentazione degli indiani tutti scotennatori, stupratori e alcolizzati. Bufalo Bill viene spedito dovunque, anche in Europa, anche dal papa, anche dalla regina Vittoria, a difendere un falso eroismo di comodo e nascondere una poco onorevole verità… A esaltare il razzismo altrui, anche, più del proprio: lui è solo una vittima, i "cattivi" in realtà sono gli altri, tutti quelli che lo vanno ad applaudire placando la loro sete di superiorità e crogiolandosi nell’apparente sua superiorità… I miti sono dannosi sempre e dovunque. Perchè mascherano la verità. Perchè finiscono per inquinare l’intera cultura di un paese… Sono soprattutto i giovani che tentano di rincorrerli. Diventando altrettanto vuoti e altrettanto falsi, se ci riescono…» Robert Altman dixit.

Sul film nella sua versione europea si abbattè la mannaia dei tagli operati dal produttore Dino De Laurentis, che accorciarono il film di quasi 30 minuti. La pellicola fu presentata, mutilata, a Berlino, riuscendo a conquistare un Orso d’Oro. Ma il riconoscimento che ad Altman più fece piacere, per il suo Bufalo Bill, fu probabilmenye un altro. «Sa qual’è la cosa più incoraggiante, cinematograficamente parlando? Che una rivista scolastica, 17 milioni di copie, un pubblico di ragazzini sotto i 13 anni, ha premiato Bufalo Bill, che è l’antitesi del western tradizionale, per un solo merito: perchè ha distrutto un mito insopportabile… Non è incoraggiante che i più giovani preferiscano la verità al mito?… Guardi che i produttori raramente capiscono che cosa ne verrà fuori, da un’idea… Erano convinti che Nashville fosse un film sulla musica country, e Bufalo Bill una storia di indiani… Per quanto mi riguarda io non mento loro: lascio che si mentano da soli, semmai.»

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